sabato 25 maggio 2013

Siete stati lasciati? .... State per lasciare qualcuno? ..... Ecco cosa è successo o accadrà ....

Siete stati lasciati? .... 
State per lasciare qualcuno? ..... 
Ecco cosa è successo o accadrà .... 


Stavo per scrivere un articolo sul significato delle pettinature delle donne e mi sono chiesto ..... come mai una donna cambia pettinatura?
..... i motivi sono svariati e il principale è questo. ....... una storia sentimentale finita.
Quindi questa settimana parliamo di cosa succede negli esseri umani quando una storia finisce......


Le cause della fine sono sempre le solite ... lui non è più innamorato, lei ha un altro, uno dei due partner si deve allontanare per lavoro e la relazione non resiste alla distanza, nel corso del tempo i due partner sono cambiati e non sono più compatibili, la gelosia, squilibri ormonali che fan si che non riesci a capire cosa devi fare e a che cosa serve l'elemento a due zampe che hai a fianco, una crisi non superata e molto altro ancora...
e tenetevelo bene a mente perché il partner che ci siamo cercati soddisfa la nostra personalità, l'armatura che ci fa allontanare dal dolore e non l'identità che ci fa avvicinare al piacere.
Una volta che si è stati lasciati ci si sente nudi  .... siamo stati privati della nostra armatura .. la personalità e quindi una volta soli con noi stessi prima o poi dobbiamo ricominciare a vivere.
Una delle cose più fastidiose da superare dopo l'abbandono è l'abitudine (sicurezza)  a ciò che si faceva prima ... come frequentare gli amici comuni, i parenti del partner, i luoghi .. bar, ristoranti, negozi, che ora diventano ancoraggi negativi, le telefonate, ecc.

Quando si viene lasciati é essenziale costruire relazioni, conoscere luoghi, fare attività che nulla abbiano a che fare con l'amato/a e dunque, giorno dopo giorno, occorre costruirsi una vita nuova.
Ecco ciò che può accadere alla tua mente e al tuo corpo dopo che il tuo partner ti ha lasciata/o (mi concentro sulle reazioni più tipicamente femminili ma anche gli uomini possono ritrovarsi in questi passaggi.


 1: LUI E'  CAMBIATO 

Qualcosa sta cambiando .... la persona al tuo fianco inizia ad assumere atteggiamenti incomprensibili: è distratto, a volte assente, sintetico nelle telefonate, comincia ad usare due cellulari e risponde evasivamente quando gli domandi se ci sia qualcosa che non va.
Al cambiamento del compagno ci si sente smarriti  e, dentro, inizia a crescere la paura di essere lasciati.
La paura è immensa e così cerchi di tacitarla convincendoti che il tuo lui é stanco e stressato ma, in fondo, è sempre lo stesso.


 2: L'INFAUSTA NOTIZIA 

Il tuo compagno ti ha appena detto che non ti ama più e che la vostra relazione è finita.

La pressione sale e l'incredulità ti assale. Tenti di capire come mai ... e nulla di ciò che ti viene detto ti soddisfa.
Hai un'altra donna? .... Peggio ..... un uomo .... anzi tutti e due ......  oppure se ci sono degli aspetti di te che lui vorrebbe veder modificati.
Gli ricordi tutti i momenti belli trascorsi insieme  e tutti quelli difficili che siete riusciti a superare.
Quando ti rendi conto che lui ha preso una decisione definitiva ti arrendi all'evidenza sentendoti morire.  Questo termine non è esagerato perché quando un'amore finisce si pensa che nulla abbia più senso e, nei momenti più bui, si può arrivare a pensare che sarebbe meglio non esserci che vivere senza di lui.


3: IL DOLORE E LA RABBIA NELL'INDAGINE INVESTIGATIVA

Il mattino dopo, se sei riuscita a dormire,  ti svegli...e dopo un attimo ti ricordi ciò che é successo: lui non è più nella tua vita!

Il dolore (possesso) ti chiude lo stomaco e le lacrime non smettono di scendere.
Le immagini della vostra vita insieme ti riempiono la mente.
Ti isoli perché hai solo voglia di piangere. 
Non hai voglia di truccarti o pettinarti prima di uscire di casa perché sei convinta che non ci sia nessuno per cui valga la pena fare quella fatica.
Eh si: ogni gesto diventa uno sforzo.
Quell'uomo era il tuo mondo e il dolore invade ogni aspetto della tua vita.
La rabbia ti assale quando pensi a tutto quello che hai fatto per lui, a come gli sei stata accanto nei momenti difficili, a eventuali rinunce fatte in nome del vostro amore e, con nervosismo, ti sembra di aver sprecato il tuo tempo.
Ecco che senti il desiderio di scoprire qualcosa in più sulle ragioni della decisione del tuo lui: speri di incontrarlo per strada per potergli chiedere ciò che ti sei dimenticata di domandare, esci nei locali dove lui potrebbe uscire la sera o vai a caccia di informazioni presso i suoi amici . Sei nel pieno dell' "indagine investigativa": cerchi tracce di un amore che credevi non finisse mai, tracce che non faranno altro che portarti fuori strada!
Se poi il lui in questione ci ha lasciato per un'altra ecco che la "nostra ira funesta" si scarica sulla mal capitata...Se ti sei trovata in una situazione del genere ti sarai sicuramente chiesta:
 "Che cosa ci trova di bello in lei?", 
"E' forse più intelligente, più attraente e simpatica di quanto lo sia io?"
Insomma, ai nostri occhi, "l'altra" è totalmente insignificante e non degna di godere delle attenzioni e dell'amore di colui che ci ha abbandonate.
E presi dalle emozioni girate i locali pubblici lasciando la vostra foto più bella   con scritto "torna da me"


4: TRISTEZZA E ACCETTAZIONE 

Le hai tentate tutte: ti rassegni.......
Non ci si rassegna mai. Si decide di tacere, è tutto.
Lui non tornerà.
Non speri più in un suo messaggio.
Ti rassegni al fatto che lui non è più parte della tua vita e che non è possibile tornare indietro.

In alcuni momenti la tristezza ti assale: una canzone  , un film , un ricordo  , il vedere una coppia che si tiene per mano  poco ti basta per renderti malinconica.
Ti limiti a lasciarti "trascinare dalla routine", cercando di tenere sotto controllo le tue emozioni.


5: STOP! SI RITORNA ALLA VITA!



Ora basta: sono stufa di soffrire!

Una mattina ti guardi allo specchio e quello che vedi non ti piace per nulla:  spettinata, il viso stanco e con gli occhi un po' gonfi...vedi la tua immagine riflessa e decidi che è ora di ricominciare a vivere!
Lui non merita più le tue lacrime e tu non hai più tempo da perdere pensando a un suo ritorno.
Desideri ancora incontrarlo per strada ma non per chiedergli spiegazioni bensì per fargli vedere come puoi essere forte, spiritosa e affascinante anche senza di lui!

Hai di nuovo voglia di comprarti un vestito, di mangiare una pizza con le amiche, di prenotare una vacanza, di impegnarti nel tuo lavoro: hai di nuovo voglia di vivere!

N.B. Se stai andando dalla pettinatrice sei ufficialmente in questa 5 fase.
Non è un modo di dire che quando una donna si taglia i capelli  ha cambiato uomo. 
La fine di una relazione e la risalita dal dolore comportano un cambio di identità e la pettinatura è, per le donne, sinonimo del proprio modo di essere.

6: RINASCITA 

Hai ripreso in mano le redini della tua vita!

Ce l'hai fatta!
Ora sei libera dal peso dei ricordi.
Non ti so dire quando, perché ogni persona e ogni storia d'amore hanno tempi diversi, ma ti posso garantire che, prima o poi, accade sempre: a un certo punto senti che qualcosa dentro di te è cambiata.
Il dolore è passato, la tristezza non c'è più e sai che, se anche dovessi rivedere il tuo ex, non proveresti nulla di sconvolgente.
Forse, addirittura, il vederlo ti renderà più forte perché ti renderai conto che lui non è più la persona adatta a te.
Ti chiederai così perché hai sofferto così a lungo, ti domanderai come hai fatto a non accorgerti dei suoi difetti e, finalmente, capirai di essere pronta per innamorarti di qualcun altro.
COME DICE LA RAFFAELLA NAZIONALE "TROVI UN'ALTRO PIU' BELLO CHE PROBLEMI NON HA" 
Con questa consapevolezza offrirai il caffè al tuo ex, gli augurerai una buona giornata e partirai per un nuovo affascinante viaggio del tuo percorso di vita.
I ricordi potranno tornare qualche volta ma non li scaccerai più. Indugerai su di essi con tenerezza: essi fanno parte di te ma non ti fanno più male. Il tuo passato non ti limita più perché ora hai ricominciato a vivere!
Queste fasi non sono facili da attraversare e, a volte, da soli è davvero faticoso.
Occorre riuscire a riempire il senso di vuoto lasciato da chi se ne è andato con un nuovo progetto per se stessi.

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domenica 12 maggio 2013


LIBERO ARBITRIO E INFLUENZA DEL RAPPORTO CON I GENITORI NELLA NOSTRA VITA


La decisione di scrivere questo articolo è scaturita in seguito a questo evento.....
....... "Buongiorno, mi chiamo Gabriele Francesco. Sono nato a Novara l’11 aprile 2013 e oggi avrei un mese, se fossi ancora vivo. Invece sono morto lo stesso giorno in cui sono nato. 
Adesso tutti starete pensando che mamma e papà non si sono comportati bene: in effetti mi hanno lasciato solo, sotto un cavalcavia, con indosso pochi stracci e senza un biberon nei paraggi. Ma io non mi permetto di giudicarli.
Certo è che noi neonati siamo indifesi: ci buttano dai ponti, ci fanno esplodere sotto le bombe, ci vendono per pochi soldi. Siamo carne da telegiornale. Prima di chiudere gli occhi, mi sono raggomitolato tra i rifiuti per cercare conforto e ho pensato: ma è davvero così brutto questo mondo che sto già per lasciare?
Poi mi sono sentito sollevare e sulla nuvola da cui vi scrivo ho visto che la bellezza c’è ancora.
C’è bellezza nel camionista che mi ha trovato e nell'ispettore che mi ha messo questo nome meraviglioso: è importante avere un nome, significa che sei esistito davvero.
C’è bellezza nei poliziotti che per il mio funerale hanno fatto una colletta a cui si sono uniti tutti, dai pompieri alle guardie forestali.
E c’è, la bellezza, nella ditta di pompe funebri che ha detto «per il funerale non vogliamo un euro», così i soldi sono andati ai volontari che in ospedale aiutano i bimbi malati.
Dove sono nato io, metteranno addirittura una targa.
Allora non sono nato invano.
Mi chiamo Gabriele Francesco, e ci sono ancora".
Foto: "Buongiorno, mi chiamo Gabriele Francesco. Sono nato a Novara l’11 aprile 2013 e oggi avrei un mese, se fossi ancora vivo. Invece sono morto lo stesso giorno in cui sono nato. Adesso tutti starete pensando che mamma e papà non si sono comportati bene: in effetti mi hanno lasciato solo, sotto un cavalcavia, con indosso pochi stracci e senza un biberon nei paraggi. Ma io non mi permetto di giudicarli. Certo è che noi neonati siamo indifesi: ci buttano dai ponti, ci fanno esplodere sotto le bombe, ci vendono per pochi soldi. Siamo carne da telegiornale. Prima di chiudere gli occhi, mi sono raggomitolato tra i rifiuti per cercare conforto e ho pensato: ma è davvero così brutto questo mondo che sto già per lasciare? Poi mi sono sentito sollevare e sulla nuvola da cui vi scrivo ho visto che la bellezza c’è ancora. C’è bellezza nel camionista che mi ha trovato e nell’ispettore che mi ha messo questo nome meraviglioso: è importante avere un nome, significa che sei esistito davvero. C’è bellezza nei poliziotti che per il mio funerale hanno fatto una colletta a cui si sono uniti tutti, dai pompieri alle guardie forestali. E c’è, la bellezza, nella ditta di pompe funebri che ha detto «per il funerale non vogliamo un euro», così i soldi sono andati ai volontari che in ospedale aiutano i bimbi malati. Dove sono nato io, metteranno addirittura una targa. Allora non sono nato invano. Mi chiamo Gabriele Francesco, e ci sono ancora".
Il Libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona è libera di fare le sue scelte; ciò si contrappone alle varie concezioni deterministiche secondo le quali la realtà è in qualche modo predeterminata (destino), per cui in realtà gli individui non compiono scelte, in quanto ogni loro azione è predeterminata prima della loro nascita (predestinazione o servo arbitrio).

Ritengo che il libero arbitrio sia solo un'utopia.
L'essere umano esegue solo un programma senza possibilità di cambiare nulla.... ciò che pensa di aver cambiato era già previsto nel suo programma.
Ciò che avviene e ci accade fa parte di un progetto di un sistema più grande rispetto a quello ristretto della nostra famiglia e del nostro vicinato che siamo abituati a vedere.
Il motore che governa tutto è l'amore e il rispetto dell'ordine.
Nel sistema tutto è ben fatto.
Ogni evento è ben fatto e per raggiungere la serenità e la pace mentale dobbiamo accettarlo così com'è ..... per ciò che è .... un fatto senza valenza positiva o negativa.
Cominciate da ora a non interpretare gli eventi ... e notate la vostra vita come cambia e fatemi sapere.


Ora analizziamo i vari tipi di rapporto che possiamo avere con i genitori (per genitore intendo colui che ha svolto questo ruolo) e partiamo con quello materno.
Analizziamo il comportamento della madre, in base al proprio vissuto e alle personali problematiche, nei confronti della figlia.
Perché prendo al femminile?
Perché la femmina, forse per la sua stessa indole, è più vulnerabile, si mette più in gioco, si espone di più nei suoi comportamenti e di conseguenza, in linea di massima, ne soffre di più rispetto al maschio.
La madre gioca un ruolo più significativo nei confronti dell’adolescente e quindi è anche la causa maggiore delle conseguenze, per una figlia, di un rapporto non equilibrato fra le due.
Già dalla prima infanzia l’immagine materna si incarna in un “doppio” rappresentato nelle fiabe dalla fata buona  (affetto e protezione) e dalla strega cattiva    (oscura minaccia): è nello stesso tempo la madre che dà la vita e quella che uccide, la madre che nutre e quella che avvelena, la madre che sostiene e quella che distrugge.
Da questo “doppio” infantile all'insegna del “bianco o nero” si delinea la figura più sfumata della madre complice e rivale, amica e nemica, confidente e delatrice.
La figura materna è ritenuta per i ragazzi il punto centrale del tessuto familiare, al meno dal punto di vista affettivo.
All'origine del fascino materno ci sono le prime esperienze piacevoli del bambino, l’essere nutrito, cullato, accarezzato, il che suscita in lui il senso di sicuro equilibrio personale nel quadro dell’ambiente familiare, cioè la certezza di esserci e di essere qualcuno che conta.
Da qui nasce una sorta di fiducia nei confronti della madre, definita “fiducia primaria”.
Da questa fiducia nascerebbe una solida sicurezza in tutte le circostanze della vita, nei rapporti con gli altri e con la realtà circostante, nascerebbe così la “personalità”.
Come osserva Jung, la madre rappresenta nello stesso tempo il calore terrestre del grembo e la sua oscurità, la luce solare della vita e la sua contiguità con le tenebre della morte, il senso delle origini e il presagio della fine.
E’ in questo mitico ruolo materno che si condensa il flusso segreto di ogni pulsione creativa, di tutto ciò che ha inizio, si sviluppa, si trasforma.
Gli effetti, sia positivi che negativi, della figura materna sulla personalità dei figli dipendono in parte dal carattere e dagli atteggiamenti della madre reale, e in parte dalle proiezioni fantastiche che il figlio fa su di lei, a cominciare dall'infanzia.
Nell'adolescenza il rapporto fra madre e figlia è più complesso e conflittuale di quello del figlio maschio: la conquista della femminilità avviene nel segno dell’abbandono e del tradimento del primo oggetto d’amore: la madre.
Ai sentimenti di gelosia che affiorano nell'adolescenza si accompagna anche un senso di colpa per il “tradimento” nei suoi confronti che è estraneo invece alle dinamiche edipiche maschili.
La rivalità della figlia nei confronti della madre è spesso meno esplicita e diretta di quella del maschio per il padre.
Pur avendo rinnegato il suo “primo oggetto d’amore”, la figlia continua a provare per la madre una nostalgia che non verrà mai del tutto sopita: rimane sempre, nel fondo, il vago rimpianto di quell'universo femminile così caldo e ovattato, in cui si sentiva racchiusa e protetta all'inizio della vita.
Il bivio edipico al quale si trova di fronte la figlia appare a volte così tortuoso e conflittuale da indurla ad indugiare, a ritrarsi, a negarsi la possibilità di mettere in gioco la propria femminilità nella conquista dell’universo maschile rappresentato dal padre.
Può succedere quando la paura di perdere la madre è più forte del desiderio di conquistare la propria femminilità, oppure quando la rivalità della ragazza si scontra con quella di una madre che non sa “stare al gioco”, ma rivive nel legame con la figlia i propri conflitti infantili irrisolti.

Quali sono gli atteggiamenti più frequenti che una madre può tenere nei confronti di una figlia?

La “mamma cattiva”
Una donna spesso in contrapposizione con la figlia fin da piccola, perché vede riflessa la sua immagine “negativa”, le sue debolezze e i lati della sua personalità che non è riuscita a modificare, o anche vede riflessi nella personalità della figlia dei tratti comportamentali che non sopporta di un marito o di un padre.
Questo tipo di donna rifiuta, di fatto, la figlia, sminuendola spesso con frasi del tipo “Non è capace di far nulla…”, “E’ una patatona…”, “Ha preso tutti i difetti del papà…” , “Va meglio con i miei altri figli maschi….”.
Cosa produce questo atteggiamento nella figlia?
Eccessiva ricerca di approvazione e costruzione di un falso sé: per sopravvivere si nutre e va continuamente alla ricerca dell’approvazione degli altri e provoca nella bambina la sensazione di “non esistere”, svuotando di significato anche i suoi successi, come se a viverli non fosse lei ma un altro.
In fuga da un mondo femminile ostile, vissuto come un riflesso della figura materna, la ragazzina tende a cercare rifugio in quello maschile, in particolare quando il padre ha rappresentato nel corso dell’infanzia una figura rassicurante e benevola.
Indipendentemente dalla bellezza, la seduttività diventa così una componente profonda della nuova identità femminile che va formandosi.
Nell'infanzia il dolore per il rifiuto della madre e il suo disamore, reale o ingigantito dalla fantasia, poteva trovare varie compensazioni: non solo in una figura paterna spesso idealizzata, ma anche nelle prime relazioni femminili fuori dalla famiglia, con la maestra, le compagne, l’amica del cuore.
Ora che la bambina è diventata a sua volta donna, l’ostilità materna provoca spesso una sfiducia di base verso il genere femminile, di cui la madre è simbolo, rendendo così più difficili e conflittuali i rapporti con le donne, inconsciamente vissute come figure persecutorie.
In questo clima di diffusa sfiducia verso il femminile, sopravvivono di solito, solo legami molto intensi, carichi di aspettative eccessive, che tendono a compensare il vuoto affettivo lasciato dalla madre.
Così basta un tradimento o un voltafaccia di un’amica per far crollare l’esile fiducia nelle donne che credeva di aver ritrovato, rendendo così la delusione ancora più cocente e difficile da tollerare.
Di qui la tendenza a cercare rifugio non più solo nel padre, ma nel mondo maschile che ne riflette l’immagine, facendo leva sul nuovo potere femminile appena conquistato: la capacità d seduzione, che la ragazzina tende ad affinare e ad utilizzare, spesso n modo inconsapevole, “erotizzando” ogni forma di comunicazione e incontro.
Nasce così la “donna erotica” le cui componenti materni restano in ombra rispetto a quelle femminili, enfatizzate fino a trasformarla in una “donna fatale” che appare come una terribile rivale per le altre.
E’ in questo modo che si crea un circolo vizioso che tende a confermare l’ostilità femminile che da sempre è presente nella bambina che si è sentita “rifiutata” dalla madre.
L’iniziazione sessuale precoce diventa l’illusione di trovare qualcuno capace di amarla, di starle vicina, di farla sentire meno sola.
Caso più grave: la promiscuità sessuale.
Il sesso rappresenta l’espressione inconscia di un’ostinata rivalità con la madre, che prevale persino sul desiderio di sedurre e la induce a comportamenti sessuali all'insegna dell’autolesionismo, col quale mira non solo a distrugger se stessa, ma anche la madre, simbolo di una femminilità distorta da fantasie masochiste.
E’ l’altra faccia della “ragazzina erotica”: non dà alcun valore alla femminilità nascente, fino ad utilizzarla per non affermare se stessa, per “buttarsi via”.
E’ il caso di adolescenti non particolarmente attraenti, a volte obese, facili prede di compagni di scuola, senza esercitare su di loro alcun fascino o alcun richiamo, se non quello dell’oggetto sessuale disponibile.
Diventa così quella che “ci sta con tutti”, derisa dai ragazzi e commiserata dalle compagne.
Spesso si vanta delle sue prodezze erotiche, ma con cinismo: è questo un disperato bisogno di aiuto per sfuggire ad una forma di dipendenza che rischia di trasformarsi in un’opera di distruzione.

La “mamma onnipresente” 
All'opposto della madre che non accetta la figlia, esiste la madre onnipresente, l’iperprotettiva, la figura di madre dalla possessività frenetica e divorante, alla fine autoritaria.
Il genitore iperprotettivo è colui che non lascia mai il figlio arrangiarsi da solo, che ritiene indispensabile la propria presenza in tutti gli attimi e in tutti gli aspetti della vita del ragazzo.
La figlia deve essere costantemente affiancata e protetta, deve essere ininterrottamente incoraggiata, rassicurata, consolata e consigliata.
L’intera vita della figlia appartiene alla madre, e quindi la madre assume la veste dell’angelo custode.
Che nessuno osi contrastare né mettere alla prova, né influenzare la propria bambina.
I legami esterni sono sì accettati, ma sono sicuramente meno importanti del suo con la propria figlia, e se ci riesce cerca di fare lei stessa da amica del cuore, esige la completa confidenza fino al ricatto morale.
L’affetto materno diventa così il sacrificio.
Chi potrà mai dare alla figlia qualcosa di simile a quello che ha dato o darà il genitore?
Pertanto la gratitudine è un ingrediente indispensabile nel rapporto tra figlia e madre.
Dovrà quindi esaudire i suoi desideri e crescere così come lei vorrà che cresca, altrimenti….l’affetto che nutre il genitore potrebbe anche esaurirsi.
Così l’amore sconfinato della madre ha un confine nella sudditanza della figlia, la quale debole perché non è mai riuscita in qualcosa da sola, si sente costretta ad accettare, dietro una mielata tenerezza e carezzevoli lusinghe, il ricatto della possessività materna.
La madre così riesce a rendersi sempre più indispensabile al benessere psicologico della ragazza: ogni ricerca del nuovo, del cambiamento, le appare insensata e ogni curiosità si estingue.
Questo rapporto così coinvolgente con la madre impedirà la successiva apertura alla relazione a tre con il padre, interferendo o bloccando il passaggio alla fase edipica dello sviluppo.
La figura paterna tenderà ad essere considerata come un accessorio, uno strumento di riproduzione, e l’eccessiva prevalenza dell’istinto materno sulle componenti femminili ed erotiche porteranno la ragazza a dominare nei rapporti d'amicizia e d’amore, in modo apparentemente altruistico, da buona samaritana, da crocerossina, ma agendo in modo tale da rendersi “indispensabile”.
 Un tipo di reazione all'onnipotenza materna può provocare una sorta di paralisi dell’istintualità femminile, non solo nelle sue componenti erotiche ma anche materne: l’adolescente continua a vivere nell'ombra della madre che diventa una figura inaccessibile, da guardare con devota ammirazione e un profondo senso di inferiorità al punto da evitare esperienze che la pongano a paragonarsi con lei, a cominciare da quelle sessuali.
E’ la figlia che, come dice Jung, “conduce un’esistenza larvale, visibilmente risucchiata dalla madre”.
L’adolescente spesso tende ad agire tiranneggiando inconsciamente la madre, ma resta sempre  una figlia amorevole e devota.
Da adulta, quando cioè sarà uscita dal ruolo di “figlia di mamma” manterrà comunque alcuni tratti originari del carattere fra cui il vivere nell'ombra di qualcuno, la docilità e la sottomissione.
Un’altra forma di reazione a questo amore troppo possessivo, soffocante ed invadente, è la figlia “edipica”, eterna rivale della madre, che non abbandona mai le fantasie incestuose infantili.
Non avendo superato l’antico triangolo edipico, si inserisce volentieri come terzo elemento in una relazione amorosa già esistente.
Il suo scopo non è quello di trovare un proprio “oggetto d’amore” ma di portarlo via ad un’altra, è l’eterna rivale. Non è per se stessa che vive la sua intensa vita sessuale ma contro sua madre.
L’iperprotezione spesso diventa sinonimo di autoritarismo da parte della madre che coltiva dentro di se, anche inconsciamente, l’ardente speranza che la figlia la appaghi nei suoi desideri più riposti, inespressi ma incomprimibili.
Perciò nel momento dell’adolescenza sogna una figlia che ritorni bambina, più arrendevole, malleabile, più influenzabile.
Scontrandosi inevitabilmente con chi invece incomincia ad affermare il proprio io, la madre considererà legittimo e doveroso ricorrere ad un autoritarismo a volte addirittura dispotico fino ad arrivare alla ”educazione forzata” tramite il castigo.
Per ottenere qualcosa bisogna minacciare, e la punizione è la via maestra per ottenere l’obbedienza. Controllare con severità, proibire, impedire, soffocare sono le armi più usate per domare una figlia in età adolescenziale.
Quali sono le reazioni più facili a questa repressione?
A volte può accadere che la ragazza abituata da sempre a subire le decisioni altrui, a sottomettersi a tutte le pretese, diventi incapace di affrontare qualsiasi realtà e si lasci dominare dalla timidezza e dalla paura. Può trasformarsi in una timida prepotente e aggressiva, o in una timida rassegnata e servile, ma comunque in qualcuno incapace di avere una vita propria.
In altri casi, si assisterà ad una formazione di un carattere arrogante, imperioso e spietato, sempre pronto, per la sopravvivenza, a raccontare menzogne, ribelle, che fugge dal suo ambiente, incapace di qualsiasi stabilità.

La “mamma che non c’è”
Al polo opposto rispetto all'autoritarismo, sta la “carenza di autorità”, errore sempre più comune ai giorni nostri.
L’amore, anzi l’eccesso di amore, della madre si conferma allo stile “consumistico” in cui viviamo, trasformando in oggetti i sentimenti, fino a farne dei sostituti simbolici.
Il consumismo affettivo è così diffuso perché riesce a mettere rapidamente a tacere i sensi di colpa che insieme all'ansia affliggono la maggior parte di quelle madri che per lavoro sanno di trascurare e di passare troppo poco tempo con le loro figlie.
Da qui le incertezze di genitori pronti a discutere ogni problema nei minimi dettagli, senza però assumersi la responsabilità di una presa di posizione decisa e coerente, che non lasci spazio a dubbi, tentennamenti e marce indietro.
Genitori che lasciano che sia il figlio a decidere cosa sia meglio per lui, anche riguardo a decisioni importanti.
L’amore per i figli prende il significato di “fare tutto” per soddisfare i loro bisogni, i loro desideri e renderli il più possibile felici.
 Da qui la tendenza a far sì che non si creino momenti di tensione, conflitto, disaccordo e dolore, e la conseguente tendenza a lasciar correre, a lasciar fare. Si evita di dire “no”, si schivano i punti di rottura fino a rifugiarsi nel consenso di un lungo e indifferenziato “sì” che tende a protrarsi dall'infanzia alla tarda adolescenza.
L’adolescente si troverà in difficoltà nella sua maturazione, non riuscirà a porsi dei limiti e a confrontarsi con le inevitabili frustrazioni della vita, tutto verrà dato per scontato, per acquisito, producendo un senso di noia, di saturazione, che soffoca il desiderio e impoverisce le risorse emotive. Restano solo le richieste sempre più pressanti: come se tutto fosse dovuto. Non esistono più regole o divieti chiari e precisi, esistono solo regole fluttuanti, soggette ad un eterno rinvio.
Questa mancanza di regole toglie ai ragazzi il gusto della sfida e della trasgressione.
Non possono più affermare se stessi e la loro diversità.
A volte l’estrema permissività da parte dei genitori è anche la soluzione più facile a qualsiasi problema, ovvero invece che cercare di far ragionare la propria figlia perché il più delle volte è tempo perso, la soluzione più irresistibile è lavarsene le mani, lasciar perdere tutto, è il volontario esilio dal ruolo di genitore.


Disturbi femminili dovuti spesso al rapporto con la madre: anoressia e bulimia 
E’ una ragazza educata e di buoni sentimenti, intelligente e caparbia, dagli occhi lucidi e dall'atteggiamento di sfida che diventa preda dell’ossessione del cibo; dietro c’è sempre una madre inadeguata che sbaglia o perché è giovane e distratta, o perché divorziata e infelice, o perché non ha polso o ne ha troppo, è possessiva o passiva.
Il padre, quando esiste, è solo un contorno oppure è un padre “seduttivo”, l’attenzione che da non offre alcun senso di protezione né dalla tirannia materna, né permette di creare un secondo polo affettivo.
La ragazza anoressica non è in grado di accettare il suo corpo che si fa adulto, perché è troppo simile a quello della madre, da cui vuole assolutamente differenziarsi.
Studi recenti concordano in un elenco di motivazioni che portano le ragazze ai disturbi alimentari:
strategie per attirare attenzione
sistema per colpevolizzare i genitori
risultato di un conflitto con madre inadeguata
tentativo di punire l’immagine interna della madre affamandola
desiderio di non essere come la madre odiata
paura di non riuscire come la mamma ammirata
sforzo di soddisfare i bisogni della madre e non i propri
bisogno di controllare il corpo per imitare l’onnipotenza materna
risposta a tensioni di famiglia
performance perversa per trionfare sui traumi infantili non superati
terrore di essere divorata dalla madre
desiderio di essere un uomo
non voler far emergere desideri sessuali repressi
rifiuto dell’identità sessuale dovuto all’assenza della figura del padre
conseguenze di eventi stressanti o abusi sessuali

Fantasie inconsce: il cibo amato/odiato rappresenta la madre, o meglio il legame fra se e la figura materna interiorizzata, non ancora distinta da quella paterna, caricata di tutte le proiezioni dei propri impulsi voraci, invidiosi, angosciosi.
C’è un processo incompleto di separazione e individuazione della madre. Coi loro sintomi le pazienti esprimono l’ambivalenza tra il voler diventare adulta, superare la dipendenza, e il voler restare nell'illusoria e falsa protezione della relazione primaria, dove non si patiscono le pene dell’essersi divisi e del dover scegliere il proprio sesso.
Le madri, intrappolate nella relazione simbiotica con le figlie, impastata di odio e di amore, danno risposte alimentari ad ogni tipo di bisogno o di domanda.
Le anoressiche hanno un’immagine distorta e alterata di se, per cui considerano bello e seducente l’orrore emaciato del corpo e disgustoso ogni sospetto di grasso. Sono anticonformiste, ribelli, capaci di grande coraggio, controllo e carattere.

Le ragazze bulimiche invece con la loro vistosa corazza del loro strato di grasso esprimono l’estrema difesa del “consistere” per esistere.
La ripetizione del riempirsi bocca e stomaco di cibo esprime un tentativo fallimentare, ma sempre rinnovato, di riempire un vuoto psicologico dell’identità e del senso di se, il grasso difende dall'angoscia di separazione.
Nei casi di ragazze anoressiche o bulimiche, si è notato che spesso le madri sembrano aver avuto bisogno delle figlie per affermare se stesse, la madre ha in qualche modo utilizzato la figlia per affermare il proprio essere “un seno nutriente”, per confermare attraverso la dipendenza della figlia il proprio ruolo e funzione.
Non è la carenza di affetto che spinge a rimpinzarsi o vomitare, ma la carenza del senso del limite, di punti saldi di riferimento per la propria identità, della sicurezza del sentirsi amati da qualcuno che sa anche dire “no”.
Il problema non è battagliare con la madre concreta, ma fare i conti con la dimensione interna dell’immagine materna.
Probabilmente i danni maggiori sono causati da genitori deboli e permissivi, quelli che sono incapaci di tollerare che i figli possano entrare in conflitto  con loro e superare l’aggressività necessaria alla maturazione.
Riassumendo il buon rapporto con la madre permette il buon successo nelle relazioni (es. un cattivo rapporto con la madre porta ad un cattivo rapporto nelle relazioni sentimentali e amicali) e nella programmazione delle azioni della propria vita.
Accettate ciò che vi viene dato senza pretese e non sarete delusi.


La figura paterna è sempre stata relegata in secondo piano rispetto a quella materna. Eppure ha un ruolo fondamentale nella crescita dei figli e, in particolare, delle femmine. Nonostante la distanza che può esserci con la bambina, la ragazza e, poi, la donna, la presenza del papà dàl'"imprinting" ai futuri rapporti della figlia con tutti gli altri uomini che incontrerà: parenti, professori, fidanzati, mariti o amici. 
Sul rapporto col padre è fondata buona parte dell'autostima che la figlia avrà verso sé stessa nella vita. 
Identificare i territori della personalità sui quali l'influenza del padre è più importante, può aiutare lo stesso padre a differenziare meglio il suo intervento da quello del mondo femminile "delle nonne e delle zie". 
Va benissimo che queste figure insegnino alla figlia come rendersi accettabile e gradevole agli altri:  si tratta di aspetti importanti dell'iniziazione al femminile, che solo una donna può trasmettere. 
Il padre invece è chiamato a dare un insegnamento diverso: la stima di sé e la coltivazione di comportamenti e valori che conservino e accrescano quella stima. 
Per svolgere appieno il suo ruolo nell'educazione dei figli, il padre deve essere una figura che rimanda al "senso", al significato dell'esistenza, al suo scopo, alle domande più impegnative circa la vita. 
Fare fronte a questo compito può portare il padre a fornire risposte diverse (anche se preferibilmente non confliggenti) rispetto a quelle proposte dal mondo femminile. 
Il padre non può che aiutare la figlia, come del resto il figlio, ad "essere sé stessa": questo è il suo insegnamento principale. 
Questa autenticità viene proposta ed apprezzata dal padre in nome del rispetto della figlia verso il proprio valore personale, di cui la figura paterna deve essere costante testimone. E' questo il nucleo profondo dell'autostima, quella consapevolezza del valore di sé, e del progetto di vita di cui possiamo essere portatori ed artefici, che consente poi ai figli di superare le prove più dure. 
Quest'autostima si coltiva nel rapporto affettivo padre-figlia, che non teme di ricorrere alla sanzione di fronte alle trasgressioni. 
E' impossibile trasmettere il senso del proprio valore senza mostrare anche che esso ha un prezzo: più siamo disposti a pagare (in termini di impegno, e rigore), più quello sale
 IL PRIMO UOMO DI OGNI DONNA  
Il padre è parte della propria figlia dal momento del concepimento in poi, vive dentro di lei. 
Tutti gli altri uomini con cui la ragazza prima e la donna poi intratterrà un rapporto di qualsiasi tipo, siano essi parenti, professori, fidanzati, mariti, amici, riattiveranno le tracce di questo antico legame. 
Tuttavia non è facile informarsi sui padri: soltanto negli ultimi venti anni sono stati considerati dagli psicologi qualcosa di più che non l'"altro" genitore, sempre a grande distanza dalla madre. 
La prima nota distintiva che appare è un'evoluzione, un cambiamento nel rapporto che le figlie intrattengono con i propri padri, che segue un cammino parallelo allo sviluppo dell'identità e alla maturazione delle stesse. Le tre tappe di questo cammino, comuni a tutte, abbracciano il periodo iniziale dell'infanzia e, attraverso il periodo critico della preadolescenza, portano a quello dell'adolescenza. 
Nel periodo infantile il rapporto con il padre è dipinto in modo estremamente positivo, quasi fiabesco, descritto come il "Paradiso perduto", o ricordato con i toni del mito dell'età dell'oro. 
La relazione si struttura nella dimensione ludica del gioco, dello scherzo e del divertimento e si caratterizza per una forte intimità psichica e, soprattutto, fisica. 
Il rapporto è diretto e spontaneo, naturale, esclusivo, profondamente investito sentimentalmente ed eroticamente. 
Il padre rappresenta appunto il Principe Azzurro  delle fiabe, fonte e meta del desiderio, la figura del padre è quella dell'eroe "senza macchia e senza paura". 
La funzione del padre è quindi quella affettiva. Fonte di protezione e aiuto, funge da guida, consigliere, rifugio emotivo, e inoltre svolge anche una funzione normativa, si fa interprete e portavoce delle regole di rispetto, diritto e dovere. 
Con la preadolescenza proprio il momento che segna il passaggio tra la fanciullezza e l'adolescenza, dai 10-11 anni di età ai 14 anni, il panorama cambia. 
Inizia quel graduale e lento processo di disillusione che si protrae poi nell'adolescenza. 
È la fase della separazione, della individuazione dei limiti paterni, del riconoscimento, accanto alla figura mitica dell'eroe, della persona, con i suoi pregi e i suoi difetti. 
Questo processo si accompagna ad una maggiore crescita in autonomia e responsabilità da parte della figlia, che inizia a giocarsi la sua emancipazione sul terreno neutro degli orari di rientro. Ora si fanno chiare le richieste di maggiore autonomia, di uno spazio fisico dove esprimere i nuovi interessi emergenti e investire la propria vitalità a distanza dallo sguardo paterno. Attraverso lo svago e l'uscita con gli ami ci, senza bisogno di tante rivendicazioni, la figlia sottrae direttamente le sue esperienze alla tutela del proprio padre, pur rimanendo sotto le sue ali protettive. Emergono anche richieste di uno spazio per sé, per l'espressione delle proprie idee, anche su progetti futuri, e delle proprie prese di posizione in caso di rimprovero o osservazione fatte dal padre. 
Nascono i bisticci, la difficoltà di dialogo, l'allontanamento fisico. 
Si arriva così al periodo dell’adolescenza, caratterizzato da sentimenti e comportamenti di ribellione, verso regole, doveri, uscite serali. 
L’autonomia ricercata ancora prevalentemente in modo inconsapevole in età preadolescenziale diviene ora prospettiva e risultato di un processo maturativo consapevole che trova appunto nell'adolescenza il suo naturale sbocco. 
Questo periodo si caratterizza anche per un temporaneo allontanamento emotivo da parte di entrambi, legato alla sessualità evidente della figlia, oramai fattasi donna. Da questa condizione iniziale segnata da un maggiore disagio relazionale e pratico con il proprio padre deriva un relativo rasserenamento di clima al momento conclusivo di questa fascia di età, che può così conoscere un tempo di relativa stabilità relazionale con il padre, appunto. Emergono infatti nella figlia anche sentimenti riparatori verso quegli atteggiamenti aggressivi prima manifestati e ostentati.
La riuscita o meno di questo processo sembra dipendere da due fattori paterni: la propensione al cambiamento e a "rivoluzionarsi" da una parte e, dall'altra  dall'accettazione e dalla conseguente valorizzazione dell’essere donna nella figlia. Solo così si rende possibile nella figlia l’autoaccettazione e l’autostima necessarie per interagire con i coetanei di sesso diverso con meno difese e maggiore soddisfazione e inoltre la progressiva responsabilizzazione così desiderata e attesa di cui si trattava prima. Ciò significa, per il padre, superare i condizionamenti sociali e rendersi disponibile ad una forma di dialogo affettivo basato su di un atteggiamento critico ma incoraggiante e orientativo, un atteggiamento di ascolto sia passivo che attivo, di condivisione dei problemi, collaborazione, contatto e vicinanza. In altre parole un accoglimento emotivo, dentro di sé, dell’aspetto femminile della propria vita. Il padre, che non ha invece sviluppato un’adeguata funzione paterna, specialmente se abituato a nascondere i propri sentimenti, più o meno consciamente, pensa che tormentare o ignorare la figlia sia la più sicura arma di difesa contro una possibile attrazione sessuale, come se la femminilità della figlia fosse un deliberato tradimento nei suoi confronti. Inoltre in questi casi può accadere che il padre reale sia rifiutato da parte della figlia o che si originino difficoltà di carattere affettivo-relazionale con il mondo maschile, per cui la figlia ricerca altrove, nella fantasia o nella realtà, quei sostituti paterni che corrispondono nella sua immaginazione alla figura del padre ideale.
Parlando di figlie ne sono state classificate quattro tipologie: figlia sottomessa, figlia brava, figlia ribelle positiva, figlia ribelle negativa.
La "brava figlia"  corrisponde ad una ragazza obbediente e rispettosa, che come tratto caratteriale preminente mostra timidezza e chiusura, responsabile, che ricerca risultati positivi in ogni settore, sia scolastico sia extrascolastico, con il fine di non deludere le aspettative paterne. Quasi sempre la brava figlia idealizza il padre, non riconoscendo i suoi limiti, ma esclusivamente i meriti, secondo un vero e proprio meccanismo di difesa di negazione. Il rapporto che c’è tra padre e figlia sembra quindi buono, anche se è comunque presente una conflittualità, a tratti manifesta come indisponenza, scontrosità o chiusura, legata alla consapevolezza inconscia che un simile rapporto non è costruttivo, anzi, blocca o fa regredire la figlia a modalità infantili, in cui le differenze generazionali sembrano cancellate e in cui prevale la dipendenza affettiva da attaccamento e rifornimento affettivo, per un bisogno di contatto e di sicurezza in sé, legato allo sviluppo dell’identità, che in questo modo rimane "congelata", incapace di procedere nel suo normale processo di costruzione, priva di quella fortificazione che deriva dalla triangolazione edipica. Regolatore della relazione è quindi uno vero e proprio scambio affettivo, condizionato e vincolante.
La "figlia sottomessa " è invece una ragazza che, all'opposto  non si definisce "una brava figlia", ma bugiarda, è consapevole di giocare un doppio ruolo, in famiglia e fuori, nello sforzo cosciente di evitare il conflitto con il proprio padre, mettendo in atto un meccanismo di difesa di razionalizzazione con lo scopo della libera manifestazione solo di alcune parti di sé, per un migliore adattamento reciproco. Il rapporto tra padre e figlia è superficiale, a tratti assente, passivo, piatto, "a senso unico" si potrebbe dire, accomodante, sicuramente non costruttivo, che segnala un mancato affrancamento dalla figura paterna, una relazione quindi in ombra, in cui la persona manifestata dalla figlia impedisce in realtà il processo di individuazione della stessa.
La "figlia ribelle negativa" è invece distante, distaccata emotivamente dal padre, ostile, difficile di carattere, scontrosa, insofferente e indisciplinata, che fa del rifiuto e dell’isolamento il proprio meccanismo di difesa elettivo. 
La relazione tra padre e figlia è irrigidita nel conflitto, sterile, fine a se stesso, infruttuoso, sul quale la figlia si illude di costruire una propria indipendenza, falsa, in verità, perché poggiata sul terreno instabile della controdipendenza, e non a partire dalla dipendenza stessa: non reale autonomia ma semplice autosufficienza. Un rapporto distruttivo, in cui la parola è un libero strumento di sfogo: l’unico canale comunicativo è quello "economico", non quello affettivo. A volte, poi, il contrasto rende impossibile e inesistente il rapporto stesso.
La "figlia ribelle positiva",  al contrario, fa del confronto con il proprio padre un utile mezzo di crescita: il conflitto è quindi positivo, mediato da un forte legame emotivo, costruttivo. Il rapporto è buono, affettuoso, spontaneo, sincero. È un rapporto alla pari, educativo, rassicurante, di reciproca fiducia e di aiuto, estremamente coinvolgente, di stima reciproca, aperto al dialogo. La figlia ribelle positiva è una ragazza onesta nei confronti del proprio padre, affettuosa, disponibile, aperta, caparbia, ostinata e testarda, poiché cerca comunque di affermare il proprio io e la propria personalità.
Anche sul versante paterno sono state individuate quattro differenti tipologie: padre idealizzato, padre normativo, padre assente, padre presente.
Il "padre idealizzato"  è un padre che non è realmente riconosciuto per ciò che è, ma sul quale la figlia proietta l’immagine fantasiosa che ha di lui. Gli aggettivi utilizzati per qualificarlo sono sempre positivi, la sua figura è avvolgente, omnicomprensiva, totalizzante.

Il "padre normativo"  invece intrattiene con la propria figlia un rapporto infantile, teso alla negazione della parte "matura" della stessa a favore di quella ideale. Un rapporto positivo finché rimane nella dimensione ludica del gioco o del divertimento, in cui la figlia accetta, più o meno consapevolmente e in modo passivo, il ruolo di bambina. Più precisamente è possibile distinguere tra le due sotto-tipologie del padre normativo protettivo e padre normativo rigido. Il padre normativo protettivo è un buon consigliere ma a patto che la figlia incondizionatamente giuri a lui "amore eterno"; il padre normativo rigido è una persona estremamente autoritaria, rigida, chiusa, introversa, che richiede alla figlia di meritarsi il suo affetto, sotto condizione.

Il "padre assente"  non è appunto presente in alcun modo nella vita della figlia, né dal punto di vista fisico né dal punto di vista affettivo. Una persona totalmente disinteressata alla vita della figlia, un mondo a sé, a parte.
Al contrario il "padre presente"  ha una significativa relazione emotiva e affettiva con la propria figlia. È una presenza anche con una funzione genitoriale normativa positiva, dà cioè regole e limiti. Una persona interessata, comprensiva, comunicativa, disponibile, che funge da guida nello sviluppo della propria figlia

Il buon rapporto con il padre permette di portare nella propria vita la concretezza, di aprirsi al mondo e realizzare i propri sogni.
Vale sempre la regola .... di accettare ciò che vi viene dato senza pretese e non sarete delusi.
La qualità del rapporto che avete o avete avuto con i vostri genitori è direttamente collegata alla qualità che avete con il vostro partner.

E ricordatevi di ringraziare i vostri genitori senza di loro in questo momento non sareste li dove vi trovate a leggere il mio articolo.

Attendo i vostri commenti e le vostre esperienze.

Vi ricordo domenica 19 il corso obiettivi per iscrivervi mandatemi una mail cervelloipu@email.it

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